Dalle ultime ricerche Istat emerge su tutti un dato che è destinato ad influenzare per lungo tempo l’economia dei paesi occidentali e non solo: nel mese di giugno, il tasso dell’inflazione italiana ha toccato l’8% e quello americano è balzato al 9,1%, record dal 1981. Quando si parla di inflazione si intende un aumento generalizzato e prolungato dei prezzi che porta alla diminuzione del valore della moneta e quindi alla capacità di acquisto del cittadino. Alcuni esperti sono concordi nell’affermare che l’attuale stato inflattivo sia principalmente dovuto alla forte ripresa economica post-pandemia (USA) e al rialzo dei prezzi energetici (Europa).
Il target sociale che più viene danneggiato da questo incontrollato balzo dei prezzi è senza dubbio la fascia meno abbiente della popolazione, in quanto l’inflazione riguarda soprattutto i beni di consumo primari come quelli alimentari, il cosiddetto ‘carrello della spesa’, e le bollette di luce, gas e sulla benzina. In particolare, l’inflazione legata alla produzione e consumo di idrocarburi è in parte dovuta alla crisi energetica sorta in seguito alla guerra russo-ucraina. Al di là dell’evidente aspetto umano e ideologico sulla guerra in sé, nel quale non voglio entrare perché non è l’obiettivo di questo blog, è importante riconoscere come lo scontro tra Russia e Ucraina abbia impattato enormemente su un’inflazione già dilagante in Occidente. In merito a questa faccenda, voglio sottolineare solamente due questioni. La prima è il taglio graduale delle forniture energetiche, dovute anche alle sanzioni economiche applicate alla Russia, che hanno ’affamato’ di energia il nostro paese. La seconda è la chiusura delle forniture di grano da Ucraina e Russia, attraverso le rotte commerciali del Mar Nero, verso l’Occidente e l’Africa.
Ritornando all’inflazione, è possibile sottolineare come nemmeno i grandi esperti delle Banche Centrali, soprattutto BCE e FED, siano riusciti a prevederla. Allo stato attuale, per tamponare l’emergenza, hanno deciso di agire rapidamente alzando sempre più frequentemente i tassi del costo del denaro.
Al fine di controllare l’abbondanza di liquidità nell’economia americana, Jerome Powell, presidente della Federal Reserve Bank, ha effettuato un aumento del 1,75% da inizio anno, dato che ha spinto alcuni analisti a prevedere un rialzo del 3,25-3,50% nel dicembre 2022, un livello mai registrato dal 2008. Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea, ha disposto un rialzo di 0,50% a luglio e di un ulteriore 0,50% a settembre. In un discorso del 28 giugno, al Forum annuale della BCE a Sintra (Portogallo), Lagarde ha affermato: “Se, ad esempio, dovessimo vedere una maggiore inflazione che minaccia di disancorare le aspettative inflazionistiche, o segnali di una perdita più permanente del potenziale economico che limita la disponibilità di risorse, dovremmo ritirare gli allentamenti monetari più prontamente per eliminare il rischio di un spirale che si autoavvera”.L’obiettivo dichiarato dalla nr.1 della Bce, per i paesi dell’euro-zona, è quello di riportare l’inflazione intorno al 2% nel medio periodo.
L’inflazione ha colpito di riflesso anche le monete sovrane: l’euro ha perso quasi il 20% del valore quota sul dollaro dall’inizio dell’anno, sia perché l’Europa sta acquistando materie prime in dollari, sia perché il turismo americano ha raggiunto quasi il monopolio in Europa, vista l’assenza di turisti russi, giapponesi e cinesi per motivi legati a restrizioni politiche o al Covid-19.
Il rialzo dei tassi influisce anche sulla crescita in Europa perché, sin dal 2011, l’eurozona è stata sostenuta da politiche monetarie fortemente sostenute dall’allora presidente della BCE Mario Draghi. L’ex premier italiano utilizzò lo strumento del quantitative easing efficacemente sintetizzato dal famoso “Whatever it takes” pronunciato dello stesso Draghi nel 2012 alla Global Investment Conference di Londra), atte a immettere liquidità nell’economia. Bisognerà capire quanto i mercati finanziari abbiano già scontato il rialzo dei tassi e se abbiano già compreso che stiamo entrando in un nuovo scenario fatto da inflazione alta e tassi alti.
A seguito del tonfo del 2020, con una perdita del PIL, italiano del -9,95%, e una parziale ripresa nel 2021, +6,6%, gli esperti si aspettano di chiudere il 2022 con un +2,3%, riavvicinandosi ai livelli prepandemici e addirittura superarli nel 2023 con un +1,9. Nel biennio 2022-2023, la crescita in Italia sarà sostenuta dalla produzione industriale, dalla occupazione in rialzo, dall’aumento della domanda interna al netto delle scorte, dagli investimenti legati al PNRR che assicureranno un deciso sostegno. Anche il settore del turismo darà una forte spinta, arrivando a circa il 20% del PIL italiano, come ha confermato recentemente il ministro Garavaglia.
Tuttavia, a causa dello scoppio della guerra in Ucraina, le prospettive per i prossimi mesi sono minacciate da elevati rischi di proiezioni al ribasso quali incrementi nel sistema dei prezzi, una flessione del commercio internazionale e l’aumento dei tassi di interesse. Anche le aspettative di famiglie e imprese potrebbero subire un significativo peggioramento.
A grandi linee, questo è quello che avvenuto nel primo semestre del 2022. Se vuoi rimanere aggiornato sui principali avvenimenti nella seconda metà dell’anno, seguimi su questo blog: The View, uno sguardo all’Italia e al mondo